Amiche, oggi il post sarà un po’ diverso, non lo dedicherò a scarpe, borse o vestiti, ma a me, a questo anno passato fuori casa.
Esattamente un anno fa è cambiata in modo radicale la mia vita, quanto l’ho bramato e desiderato questo lavoro! Ho aspettato da febbraio al 24 di giugno per averne la conferma, sono stati mesi assurdi, ricordo che a maggio ero un cane rabbioso… e poi, il verdetto. Via, si parte. Ho stravolto tutto, ho fatto una marea di bagagli e sono partita. C’è chi mi ha definita coraggiosa, chi mi ha ammirata e chi mi ha presa per pazza, perchè a 28 anni non si cambia così la propria vita, ma si resta a casa, si cerca qualsiasi lavoro senza essere “choosy” e poi si mette su famiglia. In particolar modo per un paio di amici avrei dovuto avere il destino segnato, rassegnata a un lavoro che non mi avrebbe mai dato soddisfazioni, accontentandomi di quello che avevo e ringraziando di averlo. No, io non sono così, non posso accondiscendere silenziosamente a una vita che non sentivo mia.
Ammetto però che io tutto questo coraggio non l’ho avuto. Io sono scappata.
Scappata da una gabbia di una relazione che non funzionava, che era più una bella amicizia che una storia ricca di passione e amore e non ho avuto le palle di affrontare prima i miei problemi. Sono scappata da una situazione lavorativa che non c’era, da una vecchia titolare che, dimenticandosi di essersi presa i soldi dell’incasso mattutino, mi ha accusata di furto e poi, dopo aver sputato di tutto dalla quella boccaccia, mi ha chiesto scusa. Sono scappata da un altro lavoro dove il capo non era altro che un ometto misogino e represso, che piuttosto che premiare il mio operato o rendersi conto che senza di me certe cose non sarebbero esistite, avrebbe preferito prendersi a martellate i testicoli. Sono scappata da un fidanzato che più o meno, in senso molto velato, gli dava pure ragione.
Sono scappata da una città che non mi voleva e che, probabilmente, continuerà a non volermi, preferendo assumere i figli di qualcuno più importante dei miei genitori.
Io tutto questo coraggio non lo vedo, infondo lo ammetto, ogni volta che me ne sono andata, era un tentativo di fuga.
Me ne sono resa conto con il tempo, stando qui, vivendo con le persone che mi circondano. Ma mi sono anche accorta che l’ho fatto anche per vero e puro senso di avventura. Il mettermi alla prova, tentare, provare, vedere, trovare.
Ricordo ancora come se fosse ieri la notte in cui sono arrivata.
Ad attendermi a El Prat quelli che sarebbero diventati i miei amici, compagni di viaggi e notti indimenticabili.
Ero impaurita, non sapevo dove fosse casa mia, cosa e chi ci avrei trovato.
Avevo visto tante foto di Terrassa su Google, mi ero già studiata le strade del centro e le vie dello shopping.
E’ così strano quando arrivi in una città che non conosci, che non senti tua ma che sai lo diventerà in poco tempo. Tutto sembra incomprensibile, quasi messo a caso, e tutto è territorio inesplorato. Poi, piano piano, diventa tuo, ti ci abitui, lo conosci, lo apprezzi. Lo ami.
Ho trovato amici, una famiglia multiculturale: catalani, spagnoli, romeni, tedeschi, russi, greci e portoghesi. Ho trovato di tutto: risposte e certezze. Ed è stato meraviglioso.
Ho capito che la Catalugna non fa per me, non è Spagna, e questo già lo sapevo, e neanche è Barcellona.
Con la Catalugna ho un rapporto di odi et amo. E’ una terra meravigliosa, molto simile alla mia Toscana, ricca di montagne, mari cristallini e borghi medievali. Addirittura abbiamo dei piatti tradizionali in comune: la “coca de forner” altro non è che la nostra schiacciata (tipo focaccia, ma molto più unta, salata e in versione morbida e croccante!) in versione dolce, e che dire dei biscotti di Prato, i Cantucci, quelli con le mandorle? Noi li facciamo anche con la cioccolata e spesso vengono serviti a fine pasto con un goccio di vinsanto o moscato nel quale si possono inzuppare…. beh, anche i catalani hanno gli stessi biscotti e la stessa sanissima mania di inzupparli a dovere nel dolce moscatino 😀
Le tradizioni. Ah, adoro quella natalizia, dove i bambini non aspettano Babbo Natale (in realtà in tutta la Spagna non è che sia sto gran personaggio, i regali grossi li portano i Re Magi), ma il “Cacatio”, un tronco con occhi e bocca disegnata e che, coperto da una copertina calda calda, caga dolcetti e regalini. I bambini la mattina del 25 lo prendono letteralmente a mazzate -sono in vendita le mazze ovunque in periodo natalizio- cantando canzoni catalani e facendogli uscire i doni.
Sant Jordi, 23 aprile: loro si devono distinguere; è un San Valentino “alla catalana”. La leggenda associa il santo alla lotta contro il Drago, essere mostruoso che viveva nelle acque di un lago libico, spargendo il terrore tra la popolazione della vicina cittadina, costretta a versare il tributo di due agnelli al giorno per placare la sua ira. Quando gli animali cominciarono a scarseggiare, gli abitanti furono costretti a tirare a sorte ogni giorno il nome di una persona da offrire in sacrificio. In un’occasione fu estratta la figlia del re, che sarebbe stata divorata se San Giorgio non fosse riuscito a sconfiggere il mostro. È questo il motivo per cui in Catalogna San Giorgio è il Patrono degli innamorati. Per questa occasione, le città catalane si riempiono di mercatini dove vengono venduti libri e rose: i ragazzi regalano le rose alle proprie innamorate, mentre le ragazze regalano i libri. Con il tempo un po’ si è perso, fortunatamente, questa distinzione di regali per genere, soprattutto perchè coincide con… la giornata mondiale del libro e delle rose 😉
Sant Joan, 24 giugno. Aspetta aspetta… mi dice qualcosa… ma si, San Giovanni, il patrono di Firenze! E come a Firenze, qui si fa festa, anzi, di più! Dicono che sia come un secondo capodanno, con feste in spiaggia fino alla mattina, fuochi d’artificio e musica. Stanotte festeggeremo, domani vi saprò dare più informazioni 😀 Info, qui
L’indipendenza e la lingua catalana. Si sa, la richiesta di indipendenza, di referendum, di staccarsi dalla Spagna per essere un “popolo libero” è ben nota. Molti di voi hanno visitato Barcellona e forse non se ne sono resi conto della differenza che c’è tra Catalogna e Spagna, perchè da metropoli e seconda capitale qual è, la lingua veicolante resta lo spagnolo e, di conseguenza l’inglese. Vengono servite paella e sangria, si mangiano panini con il serrano, si “sale de fiesta”. Ma è nelle piccole città che la realtà dei fatti viene a galla. Il catalano è la sola lingua che si parla. Gli abitanti sono bilingue, un po’ come nel nostro nord trentino, solo che la maggior parte di loro si rifiuta di parlarti in spagnolo. E’ capitato spesso a lavoro di trovarmi davanti a colleghi che mi parlassero solo in catalano e capitemi, i primi tempi mi veniva da piangere. Io rispondevo in spagnolo e loro in catalano. A ogni riunione che abbiamo fatto per il Tam, che abbiamo organizzato ad aprile, da dicembre fino al giorno dell’evento i miei colleghi parlavano catalano il concerto. si parlava in catalano. Eravamo in 4: la mia capa, un collaboratore che gestisce le sale di registrazione e conosce un sacco di gruppi musicali del territorio e una signora che lavora nel settore organizzazione eventi per il Comune. Ecco, lei la prima cosa che mi disse fu “capisci il catalano? no, perchè, sai, a me costa molto parlare in spagnolo e non ho intenzione di farlo. Proprio no,quindi cerca di arrangiarti”. Lo sconforto totale. Però, la nota positiva: unite alle 3 ore di lezione settimanale, questa terapia d’urto ha fatto si che lo imparassi.
A dire il vero, è molto più semplice il catalano dello spagnolo: è un miscuglio tra italiano, francese e spagnolo e noi italiani lo possiamo comprendere benissimo.
Per quanto riguarda l’indipendenza, ve lo dico sinceramente: ne ho le palle piene.
Davvero, mi sono letteralmente rotta i coglioni -il francesismo è d’obbligo in questo caso- di sentire puttanate sull’indipendenza.
Siete stati colonizzati secoli fa, fatevene una ragione.
Ok, oggettivamente un popolo che ha tradizioni e lingua propria, è diverso dallo Stato principale di cui fa parte e comprendo la necessità di affermare la propria identità nazionale. Ma uscire dalla Spagna e restare nell’Europa? Mantenere l’euro e ciò che ne consegue??? Ma davvero? Il mio pensiero, dopo quasi un anno è: prendetevela l’indipendenza, ma uscite dall’euro e rientrateci con gli standard obbligatori per tutti gli Stati membri.
Ma io sono straniera, non sono nessuno per giudicare lo stato sociale e politico di una nazione diversa dalla mia, però vedo bambini che vengono cresciuti con l’idea di non essere spagnoli (quando in realtà per molte, moltissime cose lo sono eccome!!), di denigrare lo Stato in cui sono nati per affermare la propria differenza, rifiutandosi di parlare spagnolo con le persone che il catalano non lo capiscono. Nelle piccole realtà fuori dalla globalizzata Barcellona, questo si fa sentire.
Si fa sentire per come funziona l’istruzione ad esempio.
Ho una compagna di corso che ha 17 anni anni e ha perso l’anno scolastico perchè, essendo romena e parlando uno spagnolo perfetto ma non una parola di catalano, non ha potuto accedere all’istruzione nè pubblica nè privata.
Se non capisci il catalano non puoi iscriverti a scuola, non ti aiutano, devi impararlo per conto tuo.
Persino per uno spagnolo che studia all’università è un problema.
Terrassa vanta un ottimo politecnico e Victor, un amico di Tenerife si è trovato in difficoltà: sapeva che le lezioni sarebbero state in catalano, ma non si aspettava dai professori una chiusura culturale tale da non aiutare con piccole spiegazioni in spagnolo in sede di colloqui privati.
Ecco cosa ho visto: chiusura. -ovviamente sto parlando di impressioni a livello generale che ci siamo fatte io e le mie amiche su molte persone e situazioni-
Vivono talmente stretti e serrati nel loro mondo appositamente diverso creato con gli anni, che non amano mischiarsi tanto.
Non sono accoglienti o, almeno, noi non abbiamo visto accoglienza. Se uno straniero esce con un gruppo di catalani, tra di loro parleranno catalano, nessuno verrà a tradurre che si stanno dicendo e tu ti sentirai come un coglione. Se ci sono delle feste, non ti invitano e sono dei tirapacchi assurdi.
Quello che noi stranieri a Terrassa lamentiamo, è che spesso non puoi fare affidamento su un catalano: programmare qualcosa non è mai stato così difficile e imprevedibile perchè i piani con loro possono saltare all’ultimo momento. O no. Dipende. Dipende se trovano un’alternativa diversa che gli interessa di più. E se la trovano, non è detto che ti avvertino. O che ti invitino, addirittura.
Sono individualisti.
La causa indipendentista basca ha gli stessi principi di quella catalana, solo che è stata affrontata in maniera diversa negli anni passati. Discutendo con il mio coinquilino e con altri su questa similitudine, loro sanno solo dirmi “Sono baschi, non ci interessa. Non cerchiamo un’unione a una lotta comune per lo stesso obiettivo, non ci aiutiamo, non ce ne frega nulla. Siamo catalani e ci importa solo questo”
Giusto giusto per farvi capire come si ragiona qui…. che poi quando gioca la nazionale Spagnola, tutti alla tv, mi raccomando, perchè la maggior parte dei giocatori è catalana.
I miei mesi qui, catalani e catalano a parte, sono stati favolosi. Ho superato il trauma/terrore della lavatrice.
Vivo con un coinquilino che ha la fobia del tutto in ordine ma che vive nella monnezza totale. Non si lava i denti se non prima di dormire, non ha mai e dico mai, pulito, spazzato o passato lo straccio. Non ha mai cambiato le lezuola. Ha le stesse mutande della notte da mesi. Mangia cose immangiabili. E io sono tollerante, non l’ho ucciso.
Ho conosciuto persone interessanti, divertenti e intelligenti. La mia casa è diventata un ristorante, un punto di ritrovo e di incontro per passare le serate insieme.
La mia prima pizza e il mio primo risotto li ho fatti qui, per una decina di persone e con risultato ottimo 🙂
Ho visto e compreso le differenze culturali tra alcuni popoli europei, l’arte di arrangiarsi nel viaggiare dei nordici e il desiderio di comodità di noi del sud; l’idea di italiani, spagnoli e portoghesi che il cibo sia parte del patrimonio culturale di un Paese contro quella di persone del nord est che lo vedono semplicemente come pura sopravvivenza.
Ho sperimentato sulla mia pelle la difficoltà di partire da zero completamente sola, cosa che non mi era mai successa, circondata da estranei. Iniziare a conoscerli, a capirli e a fidarsi. Vederli come amici e, con il tempo, come una famiglia, apprezzandone le diversità culturali e tollerando le stranezze più assurde (che, fidatevi, di cose strane ne ho viste!!)
Ho trovato l’amore. Strano, perchè era un amico da tanto tempo e, matta come sono, abbiamo iniziato proprio qui, dal mio compleanno. Assurdo eh?
Ho capito anche che mi manca casa, che vivere nella mia terra non sarebbe poi così male, se solo la mia terra mi volesse dare qualche opportunità.
E che non vedo l’ora di tornare anche se, allo stesso tempo, vorrei che questa settimana non finisse mai.

14 novembe 2013: per il mio compleanno la mia cucina è stata invasa dagli amici che mi hanno cucinato tutto.. TUTTO!!!
Che bellissimo post. Hai fatto bene! Sei stata coraggiosa. Hai preso in mano la vita e l’hai resa tua.
Grazie mille *__* vediamo che succede ora che torno a casa
Bello davvero il tuo post. Mi ha colpito il fatto che si rifiutano di parlare spagnolo. In Olanda parlano tutti inglese e non è la loro lingua!
In bocca al lupo per il tuo rientro in Italia 🙂
Ma grazie 🙂
qui è radicata l’idea di essere diversi e i bambini crescono con questi ideali di libertà e indipendenza di un Paese che sembra non sia loro.
bellissimo post…e ormai possiamo dirlo: bentornata a casa tesoro ❤
grazie ç__ç non mi era mai mancata tanto